"Sette anni del millennio il monto Vesuvio, chiamato anche pentola del vulcano, entrò in eruzione, emettendo dai crateri apertisi in numero molto maggiore del solito una gran quantità di enormi frammenti di roccia misti al fuoco prodotto dallo zolfo, che ricadevano poi fino a tre miglia di distanza, mentre le sue fetide esalazioni rendevano inabitabile tutta la zona circostante. […]
Il quel tempo una terribile malattia travagliava gli uomini: un fuoco nascosto consumava e staccava le membra che aveva colpito. Molti furono completamente divorati da questo fuoco in una sola notte. […] poco tempo dopo in tutto il mondo la carestia cominciò a far sentire i suoi effetti, e quasi tutto il genere umano rischiò di morire. Il tempo diventò infatti così inclemente che non si riusciva a trovare il momento propizio per alcuna semina, né periodo giusto per il raccolto, soprattutto a causa delle inondazioni. Gli elementi sembravano essere in guerra tra loro: sicuramente essi erano lo strumento di cui Dio si serviva per punire l’orgoglio degli uomini. Tutta la terra era stata talmente inzuppata dalle continue piogge che nell’arco di tre ani non si poterono preparare solchi adatti per la semina. Nel tempo del raccolto le erbacce e l’inutile loglio avevano ricoperto tutta la campagna. Un moggio (circa 8,6 litri) di semente quando rendeva tanto dava al momento della mietitura uno staio (0,5 litri), e lo staio a malapena riempiva un pugno".
Rodolfo il Glabro, Storie dell’anno Mille, Jaca Book